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Marzo 2014

di Salvatore Consolo e Mara Caenazzo – Dirigenti scolastici

 

L’articolo ripercorrere la nascita della sperimentazione del Liceo quadriennale seguendone gli sviluppi odierni e le prospettive future. Si affronta il dibattito in corso, evidenziando i punti di forza della proposta e alcune possibili criticità.

 

I primi ad ottenere un diploma di maturità con un curriculum distribuito in quattro anni saranno, nel prossimo anno scolastico 2014/2015, gli studenti di una classe del Collegio San Carlo di Milano dove il progetto sperimentale, autorizzato dall’allora Ministro Mariastella Gelmini, è partito nel 2011. Il corso di studi, denominato all’inizio “Sezione Interculturale dei Licei Classico e Scientifico (SILCS)”, si chiama oggi “Liceo Internazionale per l’Intercultura (LII)”, ed attua le indicazioni del Decreto Ministeriale n° 71 del 04/08/2011, successivamente rivisto con D.M. del 08/08/2013 n.698. Il curriculum liceale, concentrato in 4 anni, viene presentato e motivato da una forte impronta innovativa che, mantenendo il valore culturale della tradizione liceale, offre agli studenti la possibilità di ultimare la scuola secondaria di secondo grado con un anno di anticipo. Il piano di studi consta di un primo biennio sostanzialmente tradizionale, modellato su quello ordinamentale dei Licei classici e scientifici. Nel Liceo classico interculturale le ore settimanali non sono però 27 come nei Licei classici di ordinamento, ma 30 ore con un potenziamento dell’insegnamento della lingua inglese (5 ore settimanali, invece di 3) e l’introduzione dello studio della storia dell’arte per un’ora sin dal primo anno, mentre nel liceo di ordinamento tale materia è affrontata dagli studenti solo a partire dal terzo anno. Inoltre è prevista l'opzione di due ore settimanali pomeridiane per poter studiare Spagnolo o Francese. Nel primo biennio del Liceo scientifico interculturale, oltre alle 27 ore comuni col Liceo scientifico ordinamentale, è previsto un monte ore integrato di tre ore settimanali con lo studio dell’Informatica, dello Spagnolo o del Francese. In questi bienni si fa da subito un uso pervasivo della metodologia CLIL (Content and Language Integrated Learning) in lingua inglese per la maggior parte delle discipline, anche con una sorta di co-teaching con docenti italiani e madrelingua inglese. La didattica è organizzata in moduli (per cicli bimestrali) con uso delle TIC (Tecnologie dell'informazione e della comunicazione) in classe. Al terzo anno parte il secondo biennio che ristruttura il triennio liceale di ordinamento in sei aree, a didattica integrata e in lingua straniera al 50%: cultura e lingua madre, cultura e lingua straniera, logica e matematica, scienze sperimentali, scienze storico sociali e giuridico economiche, filosofia. Oltre all’indirizzo classico e scientifico è previsto quello economico e linguistico.

La sperimentazione del collegio San Carlo non è rimasta però isolata e il MIUR, con un Atto di indirizzo del 4 febbraio 2013, ha indicato espressamente come una propria priorità “adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei” e ha espresso la volontà di “superare la maggiore durata del corso di studi in Italia, procedendo alla relativa riduzione di un anno, in connessione anche alla destinazione delle maggiori risorse disponibili per il miglioramento della qualità e della quantità dell’offerta formativa” (priorità 5, punto C). Ecco che con l’anno scolastico 2013/2014 il Ministro Maria Chiara Carrozza ha autorizzato la sperimentazione del Liceo internazionale per l’innovazione “Olga Fiorini” di Busto Arsizio (D.M. 697 del 08/08/2013) e il Liceo internazionale per l’impresa “Guido Carli” di Brescia (D.M. 766 del 13/09/2013). Si tratta di altri due istituti paritari che possono realizzare un Liceo in quattro anni con finalità di innovazione metodologica e didattica, come previsto dall’articolo 11 del DPR n 275/1999. Anche nelle due nuove sperimentazioni si stabilisce, attraverso l’uso della flessibilità didattica e organizzativa, che vengano insegnate tutte le discipline previste dalle Indicazioni nazionali in relazione ai piani degli studi dei relativi percorsi (D.M. n. 211 del 7 ottobre 2010,) perché gli studenti conseguano obiettivi specifici di apprendimento e competenze analoghe a quelle che ottiene chi frequenta il quinto anno dei Licei.

A conferma degli intenti sperimentali del Ministero, ilmodello del Liceo in quattro anni coinvolgerà, a partire dall’anno scolastico 2014/2015, anche sei Istituti scolastici statali: il Liceo Classico “Orazio Flacco” di Bari, il Liceo Classico “Garibaldi” di Napoli, L’ Istituto “Ettore Majorana” di Brindisi, l’Istituto tecnico economico “Enrico Tosi” di Busto Arsizio (VA), l’ Istituto “Telesia” di Telese Terme (BN) e il Liceo Internazionale delle scienze applicate “Carlo Anti” di Villafranca di Verona.

Si tratta dunque di un modello di Liceo che si vuole estendere anche alle scuole statali, e risulta pertanto quanto mai opportuno chiedersi se l’idea di un liceo più breve di un anno possa essere valida sul piano formativo e culturale.

L'idea presenta senz'altro aspetti interessanti: ad esempio far coincidere il raggiungimento della maggiore età con la fine della Scuola secondaria di secondo grado e l'entrata nel mondo adulto, che sia rappresentato dall'Università, degli Istituti tecnici superiori o dal mondo del lavoro, offre sicuramente ai ragazzi una maggiore opportunità di crescita in autonomia, coerentemente con il loro processo identitario. Inoltre, come da più parti sottolineato, si consente ai diciottenni la possibilità di confrontarsi "ad armi pari" nel contesto europeo, dove la maggior parte dei Paesi presenta un percorso scolastico di dodici anni complessivi.

Per i diplomati che cercano lavoro, il poter disporre di un anno in meno in una Scuola, dove spesso si annoiano con discipline di studio "generaliste", potrebbe essere un ulteriore stimolo per potersi dedicare invece a percorsi professionali specialistici brevi (sul modello anglosassone e del Nord Europa), più aderenti alle richieste di occupazione in ambito locale, o a tirocini aziendali.

E per chi non ha le idee chiare e ha bisogno del tempo necessario per scegliere, si agevolerebbe, come accade sovente nella vicina Svizzera, il confronto con attività di volontariato sociale in Italia o all'estero, senza paura che questo tempo abbia la conseguenza di un eccessivo ritardo per la formazione da intraprendere successivamente.

Pur vedendo in tanti Paesi le opportunità e le esperienze positive che scaturiscono dalla riduzione della permanenza tra i banchi di scuola, ci si deve interrogare come un cambiamento o "una rivoluzione" di questo tipo possa essere implementata efficacemente in Italia dove il sistema scolastico, per molteplici fattori, ha dimostrato di essere spesso impermeabile a un vero rinnovamento metodologico e didattico. Entrando dentro a questi licei sperimentali, proviamo ad osservare in primo luogo quali siano i metodi didattici utilizzati e come venga riorganizzato il curriculum.

Per quanto concerne la metodologia messa in essere, questa ha caratteristiche comuni in tutti i progetti sperimentali: utilizzo del CLIL, didattica digitale, utilizzo delle TIC, cooperative learning, riduzione delle ore di insegnamento frontale, potenziamento delle ore di inglese, studio di una seconda lingua.

Sulla seconda questione va detto che non esiste per ora una soluzione univoca, in quanto le singole scuole per partecipare alla sperimentazione hanno dovuto presentare un proprio progetto con programmi rivisti e rivisitati, sempre sulla base delle indicazioni nazionali vigenti. Il curriculum viene riorganizzato, ma il numero di ore settimanali e le materie impartite variano, a seconda degli Istituti. Va evidenziato che, ovviamente, non si vogliono né si possono fare in quattro anni le stesse cose che si fanno in cinque. La scommessa è quella di riformulare gli obiettivi e costruire un percorso più adeguato alle esigenze degli alunni che sono sicuramente diversi, anche nelle loro potenzialità cognitive, da quelli per i quali era stato pensato il Liceo in cinque anni. Bisognerebbe valorizzare la loro rapidità, la loro memoria visiva, le loro competenze digitali, l’utilizzo dei social network.

Ridurre di un anno andrà forse a scapito dell'approfondimento culturale, ma questo solo se si mantiene a tutti i costi l'impianto didattico tradizionale, che nessun consolidato sistema di istruzione in Europa ormai propone, a fronte di un approccio progettuale tematico o per competenze, con la finalità di ottenere“teste ben fatte e non certo teste ben piene”. E poi diverse ricerche pedagogiche sostengono che non sussista correlazione tra il tempo passato a scuola e gli esiti scolastici, ma ciò che conta è piuttosto il metodo e le competenze acquisite.

A ben guardare l’articolazione della scuola secondaria di secondo grado in quattro anni non rappresenta una novità assoluta per l’Italia: si pensi all'Istituto magistrale che fino ad anni recenti permetteva l'accesso alla Facoltà di Magistero senza nulla togliere alla completezza della formazione di chi lo frequentava. Anche nei Licei italiani all’estero, dipendenti da un accordo interministeriale MIUR-MAE, come per esempio il Liceo Scientifico di Atene, il curriculum è organizzato in quattro anni e il titolo rilasciato risulta equipollente a quello conseguito in Italia dopo cinque anni di studio. Ad Atene nei quattro anni di corso sono previste 33 ore settimanali, oltre a 5 ore dedicate ogni anno alla lingua e cultura locale; la storia e geografia viene insegnata per 5 ore settimanali solamente nel primo anno di studio, mentre l’insegnamento di storia e filosofia viene impartito dal secondo al quarto anno.

La riduzione di un anno dovrebbe essere sicuramente accompagnata da una revisione complessiva della struttura oraria, introducendo maggiori elementi di flessibilità. In questo senso un esempio molto interessante è quello del sistema delle Scuole Europee presenti in alcuni Paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, dove insegnano docenti appartenenti al sistema educativo pubblico di ogni Paese per realizzare un curricolo di studi che nasce dall'accordo dei Ministeri dell'educazione dei singoli Stati membri. Il ciclo secondario di 7 anni è unico (I e II grado), ma si modula progressivamente con diverse opzioni, a partire dal terzo anno. Negli ultimi due anni le scelte che distinguono un percorso dall'altro possono portare a differenziazioni molto significative tra gli studenti di uno stesso gruppo classe, con il vantaggio di mantenere da una parte un gruppo classe coeso per un curricolo di base e dall'altra gruppi misti (a classi aperte) di studenti che approfondiscono seriamente le discipline per cui si sentono più portati.

Le risorse che si acquisirebbero con la riduzione di un anno del ciclo secondario potrebbero dar luogo a un sistema di opzioni ben organizzato, rinforzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche sulla base di un organico funzionale, con risorse maggiori per personalizzare i percorsi degli alunni.

Perché non consentire allora agli studenti italiani di terminare la scuola secondaria di secondo grado a 18 anni? Si tratta non tanto di un allineamento agli standard dei paesi europei, ma piuttosto della  realizzazione di una migliore qualità dell’istruzione, coniugando economicità ed efficienza in una prospettiva internazionale che collochi l’Italia tra i paesi che offrono 12 anni di scuola e non 13. L’interesse principale di questo progetto sta nella sfida di fare una sperimentazione innovativa e al passo coi tempi.

 

In conclusione questa sperimentazione di Liceo quadriennale sta suscitando dibattito e interesse non solo nel mondo della scuola, ma molte sono le riflessioni e le prese di posizione che ne evidenziano anche le negatività.   La prima preoccupazione, e non solo dei sindacati, sta nella possibile riduzione di posti di lavoro: un accorciamento del percorso liceale, esteso a tutte le scuole, in un quinquennio causerebbe la perdita di circa quarantamila cattedre, con un risparmio notevole per le casse dello Stato, ma con conseguenze nefaste in termini di turn over negli istituti, dove sono sempre meno i docenti a tempo indeterminato con età anagrafica inferiore ai cinquant’anni. Le assicurazione di non toccare gli organici e di riutilizzare i docenti con una molteplicità di possibilità, non convincono del tutto. Si teme che le sperimentazioni siano una sorta di cavallo di troia per consentire al Ministero, attraverso apposite monitoraggi, di creare esperienze per cui vengano tessute lodi per ottenere poi i risparmi alla spesa pubblica con la riduzione del personale. C’è poi chi, come Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia generale e sociale all’ Università Bicocca di Milano, pensa sarebbe meglio una riforma strutturale, con un primo ciclo di cinque o sei anni, poi quattro anni di media unica con studio del latino e infine tre anni di superiori. C’è anche chi auspicherebbe un ritorno alla riforma Berlinguer che, con l’eliminazione della scuola media, prevedeva due cicli di istruzione con esame di Stato a diciotto anni.

Un’ulteriore perplessità sta nel ritorno tra le aule scolastiche di corsi sperimentali, quando in anni recenti era stato deciso di porre fine alla lunga stagione delle sperimentazioni, assistite e no, perché, di fatto, avevano creato un sistema scolastico farraginoso, con un’offerta formativa troppo articolata e complessa.

Crediamo che l’unico modo serio per valutare l’efficacia della proposta del liceo quadriennale stia nel monitorare il successo formativo di chi lo frequenta o lo frequenterà, seguendo gli alunni nel loro percorso successivo al diploma fino all’entrata nel mondo del lavoro. Il Liceo quadriennale però, con le sue potenzialità e la forte caratterizzazione di innovazione metodologica, potrebbe rappresentare per gli studenti l’occasione di vedere realizzata quella che icasticamente il poeta irlandese William B. Yeats considera la vera istruzione: “Education is not the filling of a pale, but the lighting of a fire”, “l’istruzione non è il riempimento di un secchio, ma l’accensione di un fuoco”, il fuoco della conoscenza. Ma questa probabilmente è un’utopia.

 

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