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Marzo 2014

Massimo Spinelli

Il rapporto delle istituzioni scolastiche con l’associazionismo dei genitori. Il ruolo del Dirigente

 

Box introduttivo

Il tema del fundraising, già ampiamente trattato da questa rivista, si interseca perfettamente con l’attenta analisi che l’Autore vi propone nel seguente contributo. Soffermandosi ad analizzare il ruolo (attivo) delle associazioni di genitori e si ricavano le possibili e auspicabili sinergie da mettere in atto per sconfiggere l’aleatoria e sempre più superata concezione di scuola come “res publica”.

 

Premessa

Il rapporto tra la scuola e le famiglie, da intendere come singoli utenti e anche come componente organizzata nelle diverse forme possibili, rappresenta un argomento centrale del dibattito intorno alle politiche scolastiche. Al tempo stesso, le travagliate e infruttuose vicende parlamentari, che hanno caratterizzato il confronto sviluppatosi attorno alla necessità di sostituire il vecchio sistema degli organi collegiali con un moderno modello di governance delle istituzioni scolastiche autonome, testimoniano della difficoltà di trovare un’accettabile sintesi tra visioni e interessi che, ad oggi, continuano ad apparire inconciliabili.

I dirigenti delle scuole si sono spesso trovati al centro di questo duro confronto e a volte ne hanno fatto anche le spese, scontando le conseguenze di prassi scolastiche prevalentemente autoreferenziali e poco inclini a confrontarsi con logiche di sussidiarietà praticata, dove assume valore primario l’attenzione e la risposta ai bisogni di una committenza territoriale che pone richieste concrete al servizio scolastico e ai suoi operatori. In sostanza, le incertezze e i rinvii del decisore politico circa il superamento del modello archeologico degli organi collegiali discendono direttamente dalla debolezza del modello di autonomia scolastica che si è voluto realizzare: un ibrido di centralità e di delocalizzazione di competenze senza poteri, che è diventato terreno di coltura per interferenze, incomprensioni, conflitti, dove ogni componente scolastica ha finito spesso per arroccarsi a difesa dei propri interessi e dove la maggior parte delle famiglie ha preferito ripiegare su una posizione di distacco e di allontanamento, rinunciando ad interloquire con un sistema rimasto per molti aspetti chiuso e poco disponibile al confronto con l’esterno.

 

Le ragioni di un difficile rapporto

La complessità del rapporto tra la scuola e le famiglie è connotata da alcuni elementi ricorrenti, anche se non sempre generalizzabili a tutte le situazioni. Della difficoltà del sistema scuola ad aprirsi e a confrontarsi sulle sue scelte abbiamo già detto; va aggiunto anche che il perpetuarsi dei riti partecipativi, in effetti poco partecipati e spesso svuotati di senso, ha prodotto nell’immaginario collettivo la convinzione che in fondo in fondo gli organi collegiali modello anni ’70 siano meglio che niente, perché almeno qualche rappresentante nei consigli di classe e nel consiglio d’istituto ogni tanto può anche dire la sua, anche se in realtà il livello d’incidenza sulle scelte di classe e d’istituto spesso risulta irrilevante, quasi prossimo alla presa d’atto di decisioni già preconfezionate.

Esiste poi un altro livello di criticità nel rapporto tra scuola e famiglie collegato alla tendenza delle famiglie a delegare oltre misura alla scuola non solo la responsabilità legata ai processi di apprendimento ma anche compiti educativi. Se tale tendenza viene coniugata con la difficoltà di alcuni genitori di accettare gli insuccessi o i comportamenti scorretti dei loro figli (la cosiddetta “sindacalizzazione” delle famiglie) si produce una miscela esplosiva che può anche condurre a conflitti pesanti, rimessi sempre più frequentemente nelle mani di legali e dei giudici amministrativi.

La frequente concorrenza di questi elementi produce tre fondamentali conseguenze: il rapporto tra genitori e operatori scolastici è quasi sempre giocato sulla difensiva, mantenendo le distanze ed evitando ogni eccessivo sbilanciamento; finiscono per essere del tutto ignorate le pratiche di efficace collaborazione realizzate da alcune scuole (perché escono dallo stereotipo e non fanno notizia); gli stessi genitori sembrano convinti che il loro ruolo debba essere fondamentalmente limitato all’aiuto economico se c’è da acquistare qualche sussidio o da aiutare qualche alunno ad andare in gita scolastica, o alla collaborazione operativa se ci sono i giochi della gioventù da organizzare al campo sportivo, o se c’è da dare una mano alla recita di Natale o alla festa di fine anno scolastico; tutti aspetti, sia ben chiaro,importanti ma che non possono esaurire il senso di un rapporto autentico tra un’istituzione scolastica e i suoi principali stakeholder.

 

Le contraddizioni da superare

In molti sistemi scolastici europei, soprattutto laddove l’autonomia è una scelta di sostanza e non di facciata, il modello prevalentemente realizzato è quello della learning community, dove alla committenza statale è stata sostituita la committenza sociale espressa da chi vive nel territorio e da chi ha interesse a che il servizio scolastico funzioni e funzioni bene.

Nella learning community il riferimento forte è alla comunità sociale e al territorio: vale a dire alla rete sociale, all’insieme delle persone, delle agenzie, delle istituzioni legate da un rapporto di conoscenza, di fiducia, di comunanza di problemi e di interessi. È all’interno di un contesto territoriale che maggiore è l’interesse non tanto a pretendere dallo Stato servizi di qualità, quanto a partecipare dal basso alla costruzione di efficienti servizi alla comunità. Il senso profondo del principio di sussidiarietà orizzontale, che è alla base di una cultura autonomistica,è tutto qui. Si tratta dello stesso principio introdotto nel 2001 nella nostra Costituzione, che al quarto capoverso dell’art. 118 recita: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”

La constatazione che siamo ancora lontani dal conseguimento di questo obiettivo, e che prevalga ancora in ampi settori dell’opinione pubblica il radicato convincimento che non si possa fare a meno di uno Stato onnipotente e onnipresente (al punto da interpretare ogni ipotesi di vero decentramento scolastico come una forma di “privatizzazione” della scuola), non deve indurre a ritenere che la situazione sia da considerare immodificabile. E qui arriviamo al discorso sulle prospettive.

 

Un nuovo ruolo per l’associazionismo delle famiglie

Occorre partire da una domanda di fondo: “È meglio mantenere l’attuale assetto istituzionale ad autonomia debole e sotto tutela del potere centrale del MIUR, oppure realizzare un modello di autonomia avanzata, nel quale al trasferimento delle responsabilità si accompagni anche quello di poteri reali di autogoverno?”. La domanda non è peregrina, perché dalla risposta che ci si dà possono derivare diverse conseguenze. L’ipotesi “conservativa” dà necessariamente priorità alle esigenze di carattere politico (continui interventi di ritocco degli ordinamenti, contenimento delle spese, mantenimento del consenso, …) e sindacali (tutela e possibile ampliamento del sistema delle garanzie del personale e del controllo sugli indirizzi di gestione delle scuole). È assai improbabile che all’interno di questo modello top down le famiglie e le loro associazioni possano ricoprire un ruolo determinante, perché i livelli decisionali sono centralizzati e tengono conto di altri interessi considerati primari, i limiti degli organi collegiali modello anni ’70 discendono direttamente dall’impossibilità strutturale di assegnate agli stessi poteri reali.

L’ipotesi “innovativa”, quella, per capirci, che potremmo definire “ad autonomia avanzata”, comporterebbe invece il rovesciamento delle logiche decisionali. La clearing community presuppone un’impostazione botton up dove, preso atto degli indirizzi generali impartiti a livello centrale, il progetto di scuola lo si costruisce all’interno della comunità sociale di riferimento, lo si pianifica sulla base di risorse umane e finanziarie sulle quali è possibile decidere, lo si controlla e lo si valuta in rapporto alla capacità di raggiungere obiettivi e risultati che soddisfino le aspettative delle famiglie e del territorio. In questo contesto acquista senso e valore parlare di nuovi modelli di governante (termine che non ha corrispettivo nella lingua italiana, sic!) e di tecniche di accountability (termine che ci stiamo lentamente abituando a tradurre in “rendicontazione sociale”). In entrambi i casi il ruolo delle famiglie diventa centrale in quanto espressione principe della comunità sociale e portatrici dell’interesse ad usufruire di un servizio scolastico di qualità.

Se non si parte da questo ragionamento di carattere generale e culturale si continuerà a confinare la funzione e il ruolo che le famiglie possono giocare all’interno del sistema scolastico in termini di tamponamento degli effetti della crisi economica. In un modello “conservativo” dovrebbe essere il decisore politico a garantire le risorse per il funzionamento delle scuole. In un modello “innovativo” è da considerare normale che la comunità sostenga anche finanziariamente un “suo” servizio; anche in questo caso siamo costretti a ricorrere alla terminologia inglese (fundraising) non per vezzo ma perché il concetto è piuttosto estraneo alla nostra cultura. In Italia invece stiamo di fatto accettando che il modello “statalista” si regga grazie alle “elargizioni liberali” delle famiglie, dal momento che i trasferimenti ordinari dello Stato non garantiscono più né il funzionamento didattico né quello amministrativo delle scuole. Siamo stati cioè capaci di realizzare un modello originale di sussidiarietà, limitato al solo sostegno economico, legittimando l’anomalia di servizi statali sostenuti dal finanziamento dei privati cittadini.

È su queste contraddizioni di fondo che dovrebbe concentrarsi l’azione delle Associazioni dei genitori che hanno una dimensione nazionale come l’AGE (Associazione Genitori) e il CGD (Coordinamento Genitori Democratici), con diversi terminali regionali e territoriali spesso molto attivi. Si tratta di associazioni che svolgono un’azione meritoria di informazione, di formazione e di proposta e dalle quali può venire un contributo importante al tentativo di aprire una nuova stagione per l’autonomia scolastica, a condizione che si superi una volta per tutte l’orizzonte della semplice rappresentanza collegiale.

 

L’associazionismo delle famiglie a livello d’istituto

La palese disaffezione dei genitori nei confronti degli organi collegiali, sia di durata annuale che triennale, non ha impedito che all’interno di molte istituzione scolastiche i genitori si siano organizzati, in modo più o meno spontaneo, sulla base di un apprezzabile spinta alla partecipazione e alla collaborazione. L’appiglio normativo di queste associazioni di fatto è costituito dall’art. 15, comma 2, del D.lgs. 297/1994, il quale prevede che "i rappresentanti dei genitori nei consigli di classe e di interclasse possono esprimere un comitato dei genitori del circolo e dell'istituto". Non si tratta dunque di un organo collegiale, ma di gruppi auto costituitisi su base volontaria, in alcuni casi anche come forma di reazione all’inutilità degli organi collegiali ufficiali, che sono presenti prevalentemente all’interno degli istituti del primo ciclo d’istruzione, dove è possibile riscontrare una maggiore sensibilizzazione delle famiglie nei confronti dei vissuti scolastici dei figli. All’interno degli istituti secondari di secondo grado è più facile che l’interesse verso i problemi degli istituti si concretizzi in associazioni del tipo “Amici del liceo …” o “Amici dell’Istituto …”, sodalizi che quasi sempre non raccolgono soltanto genitori ma anche ex-studenti o ex-docenti.

Il Comitato genitori secondo la norma dovrebbe essere costituito dai rappresentanti dei genitori nei consigli di classe e d’interclasse, ma spesso è aperto alla partecipazione di tutti i genitori desiderosi di partecipare e di collaborare al programma di lavoro che viene discusso e adottato in sede plenaria. Perché la sua costituzione possa essere riconosciuta è necessario che venga redatto uno statuto o che comunque il Comitato si doti di un proprio regolamento.

Il ruolo che un Comitato genitori può svolgere dipende in gran parte dalla qualità delle relazioni che si instaurano tra la scuola e le famiglie. In un clima di apertura e di disponibilità l’associazionismo delle famiglie può diventare una leva potente di sostegno al funzionamento di un istituto, sicuramente sul piano dell’aiuto economico e del sostegno organizzativo, ma ancor di più su quello dell’immagine, della credibilità e della legittimazione sociale della scuola e dei suoi operatori.

Genitori che si sentono accolti e valorizzati sviluppano un senso di appartenenza che a volte può fare miracoli.

Del tutto opposta appare la situazione in cui la presenza delle famiglie è vissuta dalla scuola come un fastidio o addirittura come una minaccia.

È possibile, in questi casi, che la spinta che porta i genitori ad associarsi sia soprattutto ispirata a mettere in discussione l’operato della scuola, a criticarne la chiusura, lo stile relazionale, le modalità comunicative.

 

Quale ruolo può svolgere il dirigente scolastico?

La legge assegna al dirigente il ruolo di garante della gestione unitaria dell’istituzione scolastica. Si tratta di una responsabilità che addirittura incardina il suo stesso profilo professionale. A volte questo ruolo si preferisce gestirlo nell’ambito degli organi collegiali, garantendo modalità di comunicazione e di confronto realmente partecipate; ma, rifacendoci allo schema dei due modelli “conservativo” e “innovativo”, dovrebbe apparire abbastanza evidente che, nel caso di una scelta di reale apertura della scuola verso l’esterno e verso i suoi utenti, il ruolo di garanzia debba estendersi a prassi relazionali inclusive, capaci di valorizzare il ruolo delle famiglie, di accertarne i bisogni e le aspettative, di stimolarne la corresponsabilizzazione nel percorso formativo ed educativo dei figli.

Tutto questo richiede che lo stesso processo di elaborazione del piano dell’offerta formativa dell’istituto, che il dirigente è chiamato a coordinare nelle sue diverse fasi, sia un’occasione di partecipazione attiva e di condivisione al progetto di scuola che si intende realizzare. In tal senso la fase della definizione degli indirizzi generali, che devono orientare la successiva elaborazione del POF da parte del collegio docenti, deve costituire un momento “alto” dell’attività del consiglio d’istituto, nel quale i genitori, e non solo i loro rappresentanti, si sentano interpellati e possano esprimere e mettere in campo il loro sistema di attese. Al tempo stesso è indispensabile che l’adozione del POF da parte del consiglio d’istituto non si riduca ad una mera presa d’atto di scelte operate altrove e ispirate a finalità ed obiettivi non sempre chiari e condivisi. La stessa logica va applicata quando le scelte riguardano i modelli orari, che hanno una diretta influenza sulla vita delle famiglie, o iniziative, progetti, visite, che spesso richiedono impegni anche finanziari che possono mettere in difficoltà alcune famiglie. La stessa logica deve ispirare l’azione regolamentare del consiglio d’istituto o la gestione del patto di corresponsabilità educativa, che sicuramente rappresenta un passaggio emblematico della qualità di una relazione.

Una scuola che si senta al servizio dei cittadini e non agli ordini del Ministero questi problemi se li pone e non può evitare di risolverli contemperando sempre e comunque le proprie scelte con i bisogni e le condizioni di famiglie reali, che vivono spesso in prima persona le difficoltà di una pesante crisi economica.

Lo stesso discorso vale per i consigli di classe e di interclasse, troppo spesso sacrificati e compressi da vincoli contrattuali non certo pensati per favorire il confronto e la partecipazione delle famiglie. Anche in questo caso è il dirigente l’elemento propulsivo che, attraverso l’adozione di un efficiente piano annuale delle attività, può o meno favorire l’adozione di modelli organizzativi e di conduzione dei consigli, delle assemblee e degli incontri periodici che dimostrino rispetto per il ruolo delle famiglie.

Pari attenzione il dirigente deve prestare nei confronti dell’attività del Comitato genitori, o delle diverse espressioni dell’associazionismo delle famiglie. Il dirigente ha tutto l’interesse a valorizzare la presenza di un eventuale Comitato o a favorirne la costituzione, poiché l’associazione può costituire per lui stesso un canale privilegiato di comunicazione e di relazione con l’insieme delle famiglie, un’occasione per imparare a capirsi e a comprendersi, una specie di filtro virtuoso che permette di interloquire con i genitori, di coinvolgerli nelle scelte che più direttamente li interessano, di misurare il loro livello di condivisione e di soddisfazione.

Lo stesso spirito di sincero interesse a confrontarsi e a ragionare sui problemi della scuola deve essere alla base delle possibili esperienze di rendicontazione sociale, o di bilancio sociale, che le scuole più coraggiose e aperte al cambiamento stanno sperimentando già da qualche anno. Stiamo parlando di una prospettiva che attiene direttamente al potenziamento dell’autonomia scolastica e alla responsabilizzazione degli istituti nei confronti di quella che abbiamo chiamato più sopra la committenza sociale. È bene tenere presente che il DPR 80/2013, istitutivo del Sistema Nazionale di Valutazione, assegna alla fase della rendicontazione sociale una collocazione centrale e strategica all’interno del ciclo valutativo. Un dirigente che voglia essere protagonista di un processo di cambiamento che potrebbe cambiare radicalmente alcune logiche di fondo del sistema scolastico italiano, non deve necessariamente attendere che il “superiore” Ministero dettagli nei particolari le modalità attuative del Regolamento per muoversi; egli stesso deve diventare l’elemento propulsivo del cambiamento, anticipare gli scenari, sperimentare le procedure. Si tratta, in ultima analisi, di metterci alle spalle la stagione delle circolari e degli adempimenti, e di aprire, se ancora non lo si è fatto, una nuova stagione caratterizzata dalla responsabilità sociale di darsi degli obiettivi condivisi, di saperne monitorare l’attuazione, di valutarne gli esiti e di dare conto, alle famiglie e agli altri stakeholder, della capacità di una collettività professionale di conseguire le mete che si è assegnata in sintonia con la propria comunità di riferimento.

 

 

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