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marzo 2014

Alessandra Carta

 

Limiti massimi per la permanenza in servizio per i dipendenti pubblici

 

La nuova disciplina in materia di trattamenti pensionistici introdotta dalla riforma “Monti – Fornero”, ha avuto un impatto rilevante anche sugli aspetti relativi al rapporto di lavoro e proprio per questo motivo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, ha diramato un’apposita Circolare, nella quale vengono fornite le indicazioni interpretative, in merito alla flessibilità del rapporto di lavoro per i pubblici dipendenti.

Secondo quanto previsto dalla Circolare n. 2 dell’8 marzo 2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica, e dall’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 5 del decreto legge n. 101/2013 convertito con modifiche nella legge n. 125/2013, ai pubblici dipendenti non potrà essere applicata la flessibilità del rapporto di lavoro, prevista dall’art. 24 comma 4 del decreto legge n. 201/2011 e s.m.i..

Limiti di età per la permanenza in servizio

La recente riforma pensionistica, ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2012 dei nuovi requisiti anagrafici e contributivi per la maturazione del diritto al trattamento pensionistico, ha abrogato il regime delle finestre per la decorrenza del trattamento ed ha introdotto il sistema contributivo pro-rata per le anzianità maturate successivamente al 1° gennaio 2012. L’art. 24 del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modifiche nella legge n. 214 del 22.12.2011, applicabile dal 1° gennaio 2012, ha previsto la “pensione di vecchiaia”, e la “pensione anticipata”.

Per i dipendenti pubblici il diritto alla pensione di vecchiaia per l’anno 2012 si consegue al compimento del 66° anno di età in presenza di un’anzianità contributiva minima pari a 20 anni. Per i lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre dal 1° gennaio 1996, fermi restando il limite anagrafico minimo pari a 66 anni e quello contributivo pari a 20, l’accesso al pensionamento è altresì condizionato all’importo della pensione che deve risultare non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Si prescinde dal predetto importo minimo, se in possesso di un’età anagrafica pari a 70 anni, ferma restando un’anzianità contributiva effettiva di 5 anni.

La pensione anticipata si consegue esclusivamente, invece, a condizione che risulti maturata un’anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, indipendentemente dal requisito anagrafico posseduto alla data di decorrenza della pensione. Tali requisiti sono aumentati di un ulteriore mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall’anno 2014.

Il legislatore ha anche previsto delle penalizzazioni sulla quota retributiva del trattamento pensionistico relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente al 1° gennaio 2012, nel caso in cui si acceda alla pensione anticipata con un’età inferiore ai 62 anni. Tali riduzioni percentuali, ai sensi della Legge n. 14/2012 e s.m.i., non trovano applicazione, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria, nonché per la donazione di sangue e di emocomponenti, come previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, n. 219, e per i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché i congedi e i permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Il requisito di età anagrafica per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia ed il requisito dell’anzianità contributiva per la maturazione del diritto alla pensione anticipata sono poi soggetti ad aggiornamento per effetto dell’applicazione del sistema di adeguamento alla speranza di vita.

Detto ciò, si ritiene opportuno precisare che, in base al decreto legge n. 201/2011 art. 24, commi 3 e 14 e al decreto legge n. 101/2013 art. 2, comma 4, i dipendenti pubblici che hanno maturato i requisiti per il pensionamento entro la data del 31 dicembre 2011 rimangono soggetti alla normativa previgente per l’accesso e per la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità.

Pertanto, anche se sono ancora in servizio, tali dipendenti non possono, neanche su opzione, accedere al trattamento pensionistico secondo quanto disciplinato dalla legge n. 214/2011 e s.m.i., fermo restando che si applica anche nei loro confronti il regime contributivo pro-rata, per le anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2012.

Ne consegue che, per i dipendenti pubblici che, alla data del 31 dicembre 2011, hanno maturato il diritto al trattamento pensionistico, secondo i requisiti previsti dalla previgente normativa (sia per età, sia per anzianità contributiva di 40 anni indipendentemente dall’età, sia per somma dei requisiti di età e anzianità contributiva – c.d. “quota”), non può trovare applicazione la nuova disciplina, che esplica i suoi effetti esclusivamente nei confronti di coloro che maturano i requisiti per l’accesso alla pensione a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Inoltre, l’amministrazione di appartenenza, nell’anno 2012 o negli anni successivi, dovrà collocare a riposo al compimento del 65° anno di età ovvero al limite ordinamentale previsto dai singoli settori di appartenenza (salvo trattenimento in servizio) quei dipendenti che sono in possesso dei requisiti previsti per l’accesso al trattamento di quiescenza. Nella Circolare della Funzione Pubblica n. 2 dell’8 marzo 2012, viene infatti ribadito che “la nuova disciplina riguarda i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico; l’art. 24 non ha invece modificato il regime dei limiti di età per la permanenza in servizio, la cui vigenza, anzi, è stata espressamente confermata (comma 4 dell’art. 24). Occorre pertanto chiarire che rimangono vincolanti per tutti i dipendenti i limiti fissati dalla normativa generale (compimento del 65° anno di età in base all’art. 4 del DPR. n. 1092 del 1973 per i dipendenti dello Stato.).. omissis … In base ai principi generali, una volta raggiunto il limite di età ordinamentale l’amministrazione prosegue il rapporto di lavoro o di impiego con il dipendente sino al conseguimento del requisito minimo per il diritto alla pensione (il principio della prosecuzione si desume dall’art. 6, comma 2 bis, del d.l. n. 248 del 2007, convertito in l. n. 31 del 2008, a proposito del reintegro sul posto di lavoro a seguito di licenziamento). Inoltre, per i dipendenti che hanno maturato il diritto a pensione (diversa da quella di vecchiaia), l’età ordinamentale costituisce il limite non superabile … omissis … in presenza del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego. Discende da quanto detto che nel settore del lavoro pubblico non opera il principio di incentivazione alla permanenza in servizio sino a 70 anni enunciato dal comma 4 dell’art. 24 citato. In quest’ottica, il comma 7 dell’art. 24, nel quale si prevede che si prescinde dal requisito di importo minimo della pensione nel caso in cui il dipendente abbia un’età anagrafica di 70 anni, rappresenta una norma eccezionale, finalizzata a consentire la maturazione del diritto a pensione anche in favore di quei lavoratori che altrimenti – in caso di vigenza del limite di importo minimo – non sarebbero in grado di fruire del trattamento neppure alla prescritta età anagrafica. Inoltre, in linea con i principi enunciati dalla Corte costituzionale, rimane salvo anche dopo la recente riforma che, in caso di domanda, l’amministrazione è tenuta a disporre il trattenimento in servizio per quei dipendenti che non hanno ancora raggiunto il requisito di contribuzione minimo per la maturazione del diritto a pensione (Corte costituzionale, n. 282 del 1991, nella quale si afferma che: “Il principio (...) secondo cui non può essere preclusa, senza violare l‘art. 38, secondo comma della Costituzione, la possibilità per il personale (...) che al compimento del sessantacinquesimo anno -

quale che sia la data di assunzione – non abbia ancora maturato il diritto a pensione, di derogare a tale limite per il collocamento a riposo, al solo scopo di completare il periodo minimo di servizio richiesto dalla legge per il conseguimento di tale diritto, non può che avere (...) valenza generale”.

Tale orientamento della Funzione Pubblica è stato rafforzato dal comma 5 dell’art. 2 del decreto legge n. 101/2013, che contiene una disposizione di interpretazione autentica dell'art. 24, comma 4, secondo periodo, del decreto legge 201/2011. Infatti, tale disposizione prevede che, per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni, il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d'ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 201/2011 non sia modificato dall'elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisca limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio strettamente necessario per consentire all'interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione al momento del collocamento a riposo, ove tale decorrenza non sia immediata.

Al raggiungimento del suddetto limite, l'amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego, sempre che il lavoratore abbia conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione. 

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